Lun. Giu 9th, 2025

Dopo il 3-0 in Norvegia, la Nazionale rischia di mancare il terzo Mondiale consecutivo. Un disastro annunciato, figlio di anni di scelte sbagliate. E ora qualcuno deve assumersi la responsabilità.


Una Nazionale senza anima. Un 3-0 pesantissimo subito in Norvegia. Un’altra campagna di qualificazione che rischia di trasformarsi nell’ennesimo incubo. E una domanda che ormai non è più retorica: com’è possibile che il calcio italiano sia ancora governato dagli stessi volti, dopo anni di fallimenti sistemici?

Se i numeri sono impietosi, i segnali lo erano da tempo. Il tonfo di ieri non è solo una sconfitta sportiva, è l’istantanea perfetta di un sistema in pieno collasso. Tecnico, culturale, gestionale.


Terzo Mondiale a rischio. È follia, non fatalità.

L’Italia – campione d’Europa nel 2021 ma esclusa dai Mondiali 2018 e 2022 – rischia ora una clamorosa terza eliminazione consecutiva. Sarebbe un disastro senza precedenti per una nazione che ha scritto la storia di questo sport. Ma la storia, oggi, la sta dimenticando.

I giovani non arrivano. I vivai sono deserti. Si investe poco, e quando si investe, lo si fa male. Le prime squadre di Serie A sono piene di stranieri anche nelle retrovie. Non può essere colpa del caso. È un problema strutturale, e chi guida il sistema deve rispondere.


Gravina, perché sei ancora lì?

Nel momento più delicato del calcio italiano, la domanda è diretta e inevitabile:

Presidente Gravina, perché non lascia?

Dopo anni di dichiarazioni, promesse, piani strategici e “ripartenze”, siamo al punto di partenza. Anzi, forse più indietro di prima. E mentre altri Paesi riformano, innovano, promuovono i talenti, noi restiamo fermi. E silenziosi.

In un sistema sportivo serio, due fallimenti mondiali consecutivi sarebbero bastati per azzerare tutto. E invece siamo ancora qui, a ripetere lo stesso copione. Con la differenza che ora non c’è più nemmeno la sorpresa. Solo rassegnazione.


Riformare tutto. Subito.

Se davvero esiste una speranza per salvare il calcio italiano, bisogna partire dall’alto. Dai vertici. Dai centri decisionali. Serve una rivoluzione culturale e tecnica: investimenti nei settori giovanili, obblighi di minutaggio per gli italiani, un piano federale serio sulle infrastrutture. E servono nuove persone. Con visione. Con coraggio.

Perché il calcio italiano merita di meglio. I suoi tifosi, i suoi bambini, i suoi club meritano di sognare, non di subire.