C’è qualcosa di autentico e straordinario nello sguardo di Andrea Capobianco. È uno di quei volti che parlano da soli: fierezza silenziosa, umiltà disarmante, determinazione scolpita negli occhi. Non serve alzare la voce per lasciare il segno, e lui lo ha fatto nel modo più bello: con il lavoro, la passione, e una dignità rara.
Originario di Venafro, cuore del Molise, Capobianco è uno di quegli uomini che non hanno mai avuto bisogno di riflettori per brillare.
Ex giocatore, poi allenatore tenace e meticoloso, ha fatto della pallacanestro non solo un mestiere, ma una vocazione. E il suo cammino, fatto di palestre silenziose, lunghi viaggi in pullman e notti passate a studiare schemi, è esploso quest’anno in un trionfo che resterà nella storia.
Alla guida della Nazionale Italiana Femminile, Capobianco ha compiuto qualcosa di epico: ha riportato l’Italia sul podio europeo dopo più di 30 anni di digiuno, conquistando una medaglia che sa di riscatto e di sogno. Ma non è finita qui. Perché la sua Italia non ha solo vinto: ha incantato, giocando con identità, cuore e bellezza. Tanto che a lui è andato anche il premio come miglior allenatore dell’intero torneo.
Dietro quella panchina c’è la storia di un uomo che non si è mai montato la testa, che ha costruito tutto partendo dal basso, con lo spirito di chi viene dal sud e non ha mai smesso di credere nel potere del sacrificio. In un mondo dove spesso a dominare sono le esagerazioni, le cifre folli e le vanità, Capobianco ci riporta alla verità dello sport: quella fatta di uomini veri, di fatica, di cuore, di squadra.
Non è un personaggio da copertina, e forse per questo è ancora più grande. Perché la sua forza sta nella normalità, nell’essere rimasto se stesso anche quando avrebbe potuto sentirsi “arrivato”. Andrea Capobianco è il simbolo di un’Italia che non si arrende, che lavora in silenzio e che alla fine raccoglie i frutti con orgoglio e compostezza.
E allora sì, in mezzo a tante luci artificiali, io scelgo la luce autentica di coach Capobianco.
Perché è lì, nella sua storia, che brilla la parte più bella dello sport.
Grazie, coach. Per la lezione. Per la medaglia. Per averci fatto sognare.