In un’epoca in cui il calcio dilettantistico sembra diventato una vetrina per mercenari in cerca del miglior offerente, c’è ancora chi giura fedeltà. C’è ancora chi sceglie il cuore. E quel cuore ha un nome preciso: Domenico Di Francesco.
Estremo difensore. Ultimo baluardo. Ma soprattutto, uomo vero.
Mentre il Real Mignano gli tendeva la mano con insistenza, lui guardava altrove. Non verso i soldi, ma verso la sua curva, verso la sua gente. Verso quella maglia dell’Atletik Mignano che indossa come una seconda pelle, intrisa di sudore, sacrifici e appartenenza.
“Resto qui. Perché questa è casa mia. Perché qui mi sento vivo.”
Non servono firme, non servono cifre. Di Francesco gioca gratis, ma in realtà il suo valore non si può comprare. Perché quello che dà – ogni domenica, ogni allenamento, ogni parata – è qualcosa che non si misura in euro, ma in amore puro.
Con il presidente Francesco Calce ha un legame che va oltre il campo: è fratellanza, è rispetto reciproco. Con i tifosi, un rapporto viscerale, da lacrime agli occhi. È uno di loro. È uno per loro.
Il suo sogno? Portare l’Atletik in Eccellenza.
Non lo grida. Lo custodisce. Ma ogni volta che scende in campo, lo si legge nei suoi occhi: questa squadra salirà. E lui ci sarà. Sempre.
Di Francesco non è solo un portiere.
È un simbolo.
È la voce di chi crede ancora nei valori.
È l’esempio che ogni giovane calciatore dovrebbe seguire: gioca per la sua terra, lotta per il suo popolo, vive per quei colori.
E in un calcio sempre più sterile, individualista e interessato, lui è l’anomalia più bella. Quella che fa battere il cuore a chi ama questo sport davvero.