Nel calcio dilettantistico — quello vero, dei campi polverosi, delle trasferte fatte in macchina e delle docce fredde — ci si aspetterebbe più verità, più passione, più sostanza.
E invece, sempre più spesso, ci si imbatte in piccole società locali con grandi ambizioni di forma, ma zero contenuti.
Organigrammi da Champions League, staff degni del Paris Saint-Germain, ma poi… il pallone non gira e le figuracce abbondano.
Ci sono club che annunciano con fierezza direttori sportivi e allenatori “che portano sponsor”, come se il contributo tecnico fosse un dettaglio secondario.
Poi li vedi in campo, e lo spettacolo è tragicomico:
- Il mister si fa passare il fogliettino con la formazione da uno che, fino a ieri, allenava al Subbuteo.
- Il direttore sportivo non distingue un portiere da un esterno a piede invertito.
- E per riuscire a parlare con i calciatori, si ricorre a qualche “mediatore” di turno, perché chi siede dietro la scrivania non sa nemmeno cosa voglia dire “gestione del gruppo”.
Il risultato? Squadre allo sbando, stagioni buttate, giocatori che scappano e dirigenti che si nascondono… dietro i post Facebook con tre emoji e una foto con la felpa nuova.
Il regno del “taglia e cuci”
E non manca mai la figura del camaleonte: quello che ti incontra, ti stringe la mano, ti elogia davanti a tutti e poi — appena giri l’angolo — ti cuce addosso tutte le maldicenze del mondo.
Gente che sorride in pubblico e inciucia in privato.
Zanzare da spogliatoio, che ronzano ovunque ma non servono a niente.
Anzi, fanno danni.
A questi personaggi — e sono sempre gli stessi, ovunque tu vada — andrebbe chiesto con sincerità:
“Ma che vita infelice avete?
Davvero riuscite a guardarvi allo specchio e considerarvi uomini?
Davvero pensate che il calcio sia una passerella per il vostro ego stropicciato?”
Noi, al vostro posto, ci vergogneremmo.
Per voi, la maglia è solo un accessorio da postare.
Per noi, è identità.
Benvenuti nel calcio moderno (quello finto)
Viviamo un’epoca in cui la sostanza è trascurabile e l’apparenza è tutto.
C’è chi crede davvero che basti avere una pagina Instagram, una grafica scopiazzata, un selfie in panchina e un microfono finto per definirsi “società organizzata”.
Ma fare calcio è un lavoro.
Un mestiere vero, fatto di competenza, cultura sportiva, rispetto e sacrificio.
Non è un passatempo domenicale per chi ha finito i like su TikTok.
Non è un modo per recuperare l’autostima.
Non è un palcoscenico per recitare ruoli che non si è in grado di sostenere.
Il messaggio è chiaro:
- Meno selfie, più serietà.
- Meno cariche inventate, più competenza.
- Meno teatrini, più calcio giocato.
Perché anche nel dilettantismo, chi finge di saper fare, prima o poi danneggia chi lo sa fare davvero.
E questo sport — il nostro sport — non merita più questi bluff.