Mer. Set 24th, 2025

Il ruolo del portiere, una volta patria indiscussa dell’eccellenza italiana – da Zoff a Buffon, da Pagliuca a Toldo – oggi sembra attraversare una crisi d’identità profonda. Basta scorrere la lista dei titolari in Serie A per rendersene conto: su 20 squadre, ben 11 hanno affidato i guantoni a portieri stranieri.

Parliamo di Sommer (Inter), Svilar (Roma), De Gea (accostato a più club), Mandas (Lazio), Maignan (Milan), Skorupski (Bologna), Reina (Udinese), Milinkovic-Savic (Torino), Okoye (Udinese), Suzuki (Cremonese), Radu (Empoli).
Una fotografia che non lascia spazio a dubbi: il portiere italiano è in via d’estinzione? Oppure sta semplicemente cercando di sopravvivere in un ecosistema che non lo tutela più?


Tanti stage, pochi sbocchi

Paradossalmente, mai come oggi il ruolo del portiere è studiato e curato nei minimi dettagli. Nascono stage specializzati ogni settimana, spesso condotti da ex professionisti e preparatori di alto livello, con centinaia di ragazzi che partecipano. Tecnica, postura, appoggi, psicologia: il portiere moderno è un atleta completo, eppure l’élite del calcio sembra guardare altrove.

Perché allora, nonostante tanta formazione, non emergono portieri italiani di altissimo livello come un tempo?
La risposta non è semplice, ma in molti cominciano a puntare il dito su un sistema regolamentato, sì, ma forse dannoso nella sua logica selettiva.


La trappola degli under

La normativa vigente, che impone l’utilizzo degli under nelle categorie inferiori (Serie D, Eccellenza), ha sicuramente prodotto più opportunità per i giovani portieri, almeno nella fase iniziale. A 17-18 anni giocano, spesso anche da titolari, perché “conviene” a livello regolamentare. Ma cosa succede quando diventano over?

Succede che molti di loro si ritrovano improvvisamente tagliati fuori. Non perché non siano all’altezza, ma perché non rispondono più ai requisiti delle norme che prima li agevolavano. E senza spazio, senza continuità, molti smettono.


Crisi strutturale, non di talento

Il talento c’è, le strutture pure, e non manca nemmeno la passione. A mancare è un sistema che accompagni il portiere in un percorso di crescita costante e non a scadenza. L’obbligo degli under rischia di diventare un’arma a doppio taglio: produce numeri ma non sostanza, perché non costruisce carriere durature, ma fiammate.

Serve una riforma profonda, che non si limiti a “far giocare i giovani”, ma che li faccia crescere, proteggere e maturare anche dopo i 22 anni. Altrimenti continueremo a formarli… per poi lasciarli andare.


Conclusione: i guantoni sono ancora italiani, ma per quanto?

In un campionato che investe sempre più su portieri stranieri, e con una Nazionale che fatica a trovare un nuovo Buffon stabile, è lecito porsi delle domande.
Stiamo davvero valorizzando i nostri talenti tra i pali?
Oppure li stiamo usando come tappabuchi fino a quando conviene, per poi dimenticarli nel momento in cui servirebbe continuità?

Il portiere italiano non è sparito. È solo stato messo da parte troppo presto.