Approvato il decreto: pene più dure contro la violenza sui direttori di gara. In campo cambia tutto
È arrivata una svolta storica nel mondo dello sport italiano. Il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legislativo che riconosce agli arbitri la qualifica di pubblici ufficiali durante lo svolgimento delle gare. Un passo importante per combattere in modo deciso l’ondata di violenza e aggressioni che, purtroppo, si moltiplicano sui campi di calcio di ogni livello, soprattutto dilettantistico e giovanile.
Il provvedimento modifica l’articolo 583-quater del Codice Penale, equiparando le aggressioni agli arbitri a quelle subite da forze dell’ordine o altri pubblici ufficiali in servizio. In caso di lesioni gravi o gravissime, scatterà la reclusione, con pene che possono arrivare fino a sei anni. È una risposta decisa a numeri inquietanti: solo nel 2024 si sono registrati oltre 80 episodi di aggressione e ben 37 direttori di gara hanno riportato prognosi superiori ai 20 giorni.
Un cambio di passo culturale
“È una vittoria di civiltà”, commentano da più parti, tra dirigenti federali e rappresentanti delle associazioni arbitrali. Non si tratta solo di una legge: è un segnale culturale forte, che restituisce dignità e protezione a chi ogni settimana garantisce la regolarità del gioco, spesso tra mille difficoltà e senza i riflettori dei grandi stadi.
Il messaggio è chiaro: picchiare un arbitro non è più una “ragazzata” da campo, ma un vero e proprio reato contro un pubblico ufficiale, con tutte le conseguenze del caso. In questo senso, il decreto non solo punisce ma dissuade, elevando il livello di responsabilità degli atleti, dei dirigenti e delle società.
Zappi (AIA): “Vinta una battaglia di civiltà”
Tra i primi a commentare positivamente la novità è Mauro Zappi, dirigente dell’AIA (Associazione Italiana Arbitri), che da tempo spingeva per un riconoscimento normativo più chiaro. “È un traguardo importante – ha detto – perché tutela i nostri ragazzi e ribadisce che il rispetto delle regole parte dal rispetto di chi le fa applicare”.
Con questa riforma, il calcio dilettantistico italiano compie un passo in avanti, allineandosi a un principio basilare: la tutela della persona prima del ruolo. Perché nessuna passione sportiva può mai giustificare la violenza.