Gio. Lug 17th, 2025

Abbiamo parlato spesso di psicologia positiva, di quanto i complimenti siano più potenti dei rimproveri, se ben bilanciati, come evidenziato nel primo articolo in cui abbiamo parlato della linea di Losada e di come la percezione che abbiamo del mondo possa essere spostata, proprio come un peso su un’asse, con il giusto fulcro, come ci insegna Shawn Achor.
Oggi però voglio portarvi dall’altra parte della bilancia. Lì dove la leva non solleva, ma schiaccia. Voglio parlarvi di impotenza appresa, un concetto sviluppato dallo psicologo Martin Seligman, che ci aiuta a comprendere come, in alcuni contesti – soprattutto tossici – si possa disimparare a credere in sé stessi, fino a sprofondare nella depressione.
E non ve lo dico solamente da professionista, ma da persona che l’ha vissuta sulla propria pelle!
Cos’è l’impotenza appresa?
Tutto inizia con un esperimento, negli anni ’60: Seligman e il suo gruppo di lavoro sottoposero dei cani a lievi scosse elettriche che non potevano evitare. Dopo ripetuti tentativi, i cani smettevano di provare a fuggire, anche quando veniva data loro la possibilità. Avevano “imparato” che nulla di ciò che facevano cambiava il risultato, quindi si arrendevano.
In sostanza, quando una persona vive ripetute esperienze negative – sul lavoro, in famiglia, nelle relazioni – senza possibilità apparente di cambiarle, finisce col credere che non valga nemmeno la pena provarci.
I segnali dell’impotenza appresa
Riconoscerla non è sempre facile, ma ci sono campanelli d’allarme:
• Ti senti cronologicamente senza via d’uscita, anche per cose che prima affrontavi con slancio;
• Inizi a pensare che “tanto va sempre così”, “è colpa degli altri”, “non serve provarci”;
• Ti dai spiegazioni stabili (“sono fatto così”), globali (“niente funziona”) e con un locus esterno (“dipende tutto dagli altri”),
•Ti chiudi, ti isoli, perdi motivazione.
•E infine… inizi a pensare di non valere abbastanza. Di essere “sbagliato”. Di non avere più forza.

Quando l’ambiente avvelena
Nel mio caso, tutto è iniziato in un ambiente di lavoro tossico, in cui ogni giorno venivo sminuito, umiliato, deriso dal mio capo. Non importa quanto lavorassi, quanto mi impegnassi. Non bastava mai. Pian piano, quella voce esterna è diventata interna. Ho smesso di parlare. Poi di proporre idee. Poi ho smesso di credere in me stesso. E alla fine… sono caduto in depressione!
Come uscirne: prima che sia troppo tardi
La buona notizia? L’impotenza appresa si può disimparare. Sì, è dura. Ma è possibile.
Ecco come iniziare:
Riconosci il contesto: spesso non sei tu “inadatto”, ma stai respirando un’aria che toglie ossigeno. Fai un passo indietro e guarda dove ti trovi.
Cambia il tuo dialogo interno: inizia a contrastare i pensieri assoluti. “Non valgo nulla” → “Sto vivendo un momento difficile, ma posso uscirne”.
Cerca supporto: uno psicologo, un amico fidato, un sindacalista. Parlare è il primo passo per spezzare l’isolamento.
Riscopri il potere delle piccole azioni: anche solo prendere una decisione semplice – cambiare strada, rifiutare un compito umiliante – ti restituisce la sensazione di controllo.

Circondati di riscontri positivi: non è piaggeria, è ossigeno per la mente. Trova chi ti vede, ti ascolta, ti riconosce.

Conclusione
L’impotenza appresa non è un difetto. È una strategia di sopravvivenza andata fuori controllo. Ma non è definitiva. Come ha scritto Seligman: “Puoi imparare a essere ottimista”. Io ci sto riuscendo, anzi per me è iniziata una crescita post-traumatica, ma di questo ti parlerò nel mio prossimo articolo…

Leonardo Pagano, Psico-Pedagogista.