Mer. Set 24th, 2025

a cura della Redazione

Nel silenzio di un campo vuoto, prima che il pallone inizi a rotolare, c’è una figura che osserva. Pensa. Decide. È l’allenatore. Il mister. L’uomo solo al comando. Una solitudine che non è isolamento, ma responsabilità. Un fardello che diventa vocazione.

Dietro ogni vittoria c’è la sua impronta invisibile. Dietro ogni sconfitta, il suo volto pensieroso. Il mister è solo quando deve scegliere chi scenderà in campo, anche a costo di lasciare fuori chi meriterebbe. È solo quando deve motivare chi è in difficoltà, quando cerca le parole giuste per riaccendere il fuoco dentro un giocatore spento. È solo quando, a partita finita, sente dentro sé il peso del risultato, sia esso una gioia o una ferita.

Ma in quella solitudine c’è forza, c’è cuore, c’è dedizione assoluta. Non è solo un ruolo tecnico, è un ruolo umano. Il mister è un educatore, uno psicologo, un padre, un fratello, un punto di riferimento. Spesso è l’unico che difende il gruppo anche quando tutti lo attaccano. L’unico che crede ancora, quando il mondo intorno inizia a dubitare.

“Se vince è un genio. Se perde, è da mandare via.”
Questo è il destino del mister. Una condizione accettata con orgoglio e spirito di sacrificio. Perché dietro quella panchina, dietro quelle urla, dietro ogni indicazione, c’è un uomo che ha scelto di vivere per gli altri. E che, nonostante tutto, non cambierebbe quella solitudine con niente al mondo.

Un grazie sincero a tutti i mister che non mollano. A quelli che ci credono, che si mettono sempre in discussione, che fanno crescere i ragazzi prima come uomini e poi come calciatori.

Perché il calcio, quello vero, parte proprio da lì. Dalla forza silenziosa e immensa di un uomo solo, che non è mai davvero solo.